Smart Working: la grande corsa tra coronavirus e security. Ecco perché le imprese non devono avere troppa fretta

L’emergenza sanitaria spinge forte il motore dello smart working nelle imprese come una delle leve più efficaci per difendere la continuità e la salute del proprio business. Ma per quanto riguarda i rischi per la sicurezza e la fuga dei dati? Ecco qualche buona regola per evitare brutte sorprese.

Smart working, digital workplace, telelavoro, lavoro agile, lavoro da remoto… chiamatelo un po’ come vi pare ma il punto resta uno: nel cuore, al centro esatto della grande emergenza sanitaria legata alla diffusione del coronavirus nel nostro Paese c’è da tempo un tema che torna e continua a tornare in maniera ossessiva, ipnotica, naturale.

Intendiamoci il lavoro “intelligente”, a onore del vero, non è certo una novità e da tempo ha conquistato moltissime imprese italiane come ci dice lo stesso Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. Lo Smart Working è stato una realtà nel 58% delle grandi imprese nel 2019. Non solo, il 76% degli smart worker è risultato essere soddisfatto del proprio lavoro, contro il 55% degli altri dipendenti.

Un gancio in mezzo al cielo…

Oggi però c’è di più e proprio lo smart working è il “gancio in mezzo al cielo” a cui imprese e manager hanno deciso di affidarsi per cercare di difendere la continuità del proprio business è proprio la “magia” dell’innovazione digitale. Una “magia” che grazie al cloud computing, agli strumenti di collaboration, al video streaming… ci permette di essere “on” dovunque, comunque, da qualsiasi device… come se fossimo in ufficio.
Ma non lo siamo.
Il punto, per quanto banale, è tutto qui. Perché? Lo dicono i numeri e il contesto. Di rivoluzione smart working e di come costruire un lavoro agile sicuro per altro parleremo in un esclusivo webinar il prossimo 31 marzo alle 12,00

Smart working: i rischi sono semplici ma enormi

Secondo una ormai storica ricerca Vanson Bourne l’Italia risulta essere, da anni, come la testa di serie numero uno, in Europa, per l’uso di servizi cloud “clandestini”, “non autorizzati” per lavorare. Non parliamo dunque di “giochini” ma semplicemente di servizi gratuiti e consumer, di condivisione di documenti di grandi dimensioni o ancora applicazioni di collaboration gratuite che manager di ogni forma e dimensione, per immediatezza usano in ambito enterprise senza avvisare le funzioni IT. Servizi che, lo dice la parola stessa, sono gratuiti e, in quanto tali, una volta chiamati a fare un mestiere professionale poi possono “mollarci” proprio sul più bello… o sul più brutto. Sono gratis…

E ancora, nel 2019, dati Clusit alla mano, (è appena stato presentato il nuovo e atteso rapporto 20202 sulla cybersecurity in Italia) a crescere in maniera smodata non sono i sistemi di attacco più evoluti o futuristici… in Italia il phishing viaggia con oltre l’81% di aumento rispetto al 2018 e lo stesso trend è possibile collegarlo al ransomware. Ora proviamo ad associare proprio questo contesto all’altrettanto inevitabile e recentissima circolare governativa che, alla luce degli sviluppi legati alla diffusione del Coronavirus, ha incentivato e reso, in alcuni casi obbligatorio, l’uso dello smart working a livello di Pubblica Amministrazione, di più, ha anche approvato l’uso di strumenti e device personali per lavorare.

Smart working, coronavirus e cultura oltre la tecnologia

Intendiamoci, quello appena descritto è indubbiamente e chiaramente uno scenario straordinario. Uno scenario che, dati dell’Osservatorio Smart Working alla mano offre a tutti noi maggiore soddisfazione lavorativa, motivazione (non a caso proprio lo smart working è considerato dai dipartimenti HR delle più grandi multinazionali come una carta decisiva nell’attrarre i miglior talenti sul mercato). Ma, proprio per la grande emergenza che stiamo vivendo, oggi più che mai è altrettanto importante vivere e affrontare questa corsa verso lo smart working tornando, ancora una volta alla definizione di Fiorella Crespi: “Smart Working vuol dire innanzitutto “ripensare il lavoro… in ottica intelligente”.

In un contesto di grande fretta da una parte e di grande vulnerabilità dall’altra (come abbiamo appena visto) muoversi verso il lavoro intelligente oggi vuol dire partire da obiettivi, competenze e strategie precise di protezione, messa in sicurezza che abbiano come focus principale il mobile (a oggi proprio l’ambiente in cui siamo meno attenti alla sicurezza). La tecnologia, i sistemi, le piattaforme, per quanto fascinose e più o meno performanti possono arrivare dopo, se manca la premessa della strategia di sicurezza manca anche la magia vera del digitale… e sarebbe un vero peccato, oltre che un bel rischio, per tutti noi.

Smart working, coronavirus e sicurezza: come muoversi

Di fronte dunque alla portata della sfida e alla complessità dei processi da gestire non basta più rifugiarsi, tanto per fare un esempio, in un singolo antivirus per quanto innovativo. Smart working vuol dire definire innanzitutto i profili degli utenti e dunque capire chi e quando può avere accesso a determinate applicazioni, processi, dati.

Non solo, smart working vuol dire avere il controllo e il monitoraggio dei sistemi e delle reti wifi a cui gli utenti si affidano per collegarsi alla Rete e ancora cerare “bolle” sicure all’interno di smartphone, tablet che, magari, l’utente usa contemporaneamente per fare video e foto dei propri figli e per la propria vita personale.

Serve insomma un approccio a 360° capace di andare oltre il puro ambito tecnologico, (ne discuteremo nel corso di questo evento streaming tra pochi giorni).

Un approccio di cui trovate uno sviluppo completo nel White Paper che segue. Un documento esclusivo con regole e indicazioni precise su come lavorare in remoto, in piena libertà e sicurezza. Per ottenere il documento vi basterà compilare il form sottostante e il download inizierà in automatico!

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